Conduction e problemi di identità

Dare un’identità alla Conduction è forse impossibile se non sbagliato, ma risulta evidente la vicinanza alla popular music.
“[…] È il terreno su cui si svolgono le trasformazioni.”[1] La definizione di popular music di Stuart Hall citata da Richard Middelton sembra descrivere la natura mutevole della Conduction, incentrata sull’improvvisazione, sull’indeterminato, in un mutamento continuo e costante del linguaggio.
Prima di tutto è bene considerare la citazione parte di alcune considerazioni riguardo la popular music in una prospettiva teorica. Da qui l’idea di avvicinare queste problematiche teoriche alle prospettive della Conduction.
Partendo da queste argomentazioni abbiamo trovato eterogenei spunti di speculazioni e diversi elementi di contatto che hanno permesso di analizzare con una doppia prospettiva alcuni aspetti salienti.
I punti presi in esame, oltre alla definizione di Stuart Hall, sono stati la definizione di Middelton, riguardante le “connotazioni incrociate” con la conseguente “teoria dell’articolazione”, e un impavido parallelismo tra Elvis e Morris.
Ben consapevoli che l’esempio seguente risulterà piuttosto ardito, riteniamo utile riportare una considerazione fatta da Middelton riguardo Elvis Presley: “L’importanza di Elvis, quindi, risiede non tanto nella miscela di elementi (blues/country/Tin Pan Alley) che egli ha contribuito a integrare nel rock’n roll, quanto nel modo in cui l’ha utilizzata”[2].
Ovviamente in tutt’altro contesto, sia storico che musicale, anche la figura di Morris ha coadiuvato la nascita di un genere quasi a sé. La rilevanza di questo risultato non risiede nella diversa unione di variegati generi o elementi musicali (free jazz/musica contemporanea classica/improvvisazione), ma nella forma e nel modo in cui Morris la utilizza e l’ha utilizzata.
La definizione di “Connotazioni incrociate” utilizzata da Middelton, “cioè quando due o più elementi diversi si rappresentano, simboleggiano o evocano l’un l’altro, si verificano relazioni articolatorie particolarmente forti”[3], può esprimere il risultato ottenuto dalla Conduction.
L’utilizzo di un ensemble orchestrale di tipo classico simboleggia, rappresenta ed evoca un linguaggio, una sonorità dai tratti ben connotati del tutto diversi da quelli che utilizzerà la direzione ‘improvvisata’. Proprio per questo motivo il prodotto sarà completamente unico e carico di “connotazioni incrociate”, ragion per cui la teoria dell’articolazione dello stesso Middelton può essere significativa nella Conduction, dal momento che, riconoscendo la complessità dei campi culturali – leggibile come diversi ed eterogenei ensemble musicali – i musicisti si esprimono attraverso un proprio e complesso linguaggio. 
Sempre a sottolineare la natura altèra della Conduction, divergendo dalle argomentazioni relative ai rapporti tra Conduction e le varie problematiche di definizione che riguardano allo stesso modo la popular music, è stata rintracciata nello scritto di Umberto Eco “L’opera in movimento e la coscienza dell’epoca”[4] un’evidente appartenenza. 
Ovviamente gli esempi riportati da Eco riguardano la musica scritta, quindi la relazione di apertura è tra la partitura ed interprete oltre che tra interprete e fruitore.
Nel caso della Conduction bisogna aggiungere che non essendoci uno spartito scritto, ma una codificazione tramite il gesto del direttore, l’opera si apre ad una nuova relazione, quella tra direttore ed interprete. Diversamente dalla partitura, che è oggetto e materiale dato, il direttore si relaziona continuamente alla interpretazione, espressività ed improvvisazione del musicista. L’indeterminato si insinua in modo determinate nell’opera, senza mai tramutarsi in casuale, essendo esso stesso in relazione alla espressione, alla comunicazione ed in continuo rapporto tra direttore e musicista, e tra direttore ed ensemble.
L’indeterminazione rintracciabile nella tecnica di Morris deve essere intesa in modo diverso da come la intende Cage, non legata al flusso degli eventi (quindi alle filosofie Orientali Zen) ma è strettamente correlata alla volontà e personalità degli’interpreti e successivamente del direttore, la musica è azione e processo ma sempre legata alla ‘espressività’ dei musicisti.  
La definizione di “opera in movimento” come opera capace di assumere diverse ed impreviste strutture fisicamente inattuate, conferma l’appartenenza alla Conduction a questa categoria di opere caratterizzate dall’invito a fare l’opera con l’autore (in questo caso il direttore).
Utilizzando le parole di Umberto Eco possiamo asserire che la Conduction è un’ “opera aperta” ad una germinazione continua di relazioni interne che il fruitore (in questo caso il musicista) deve scoprire e scegliere nell’atto di percezione della totalità degli stimoli; questi stimoli possono essere sia l’interpretazione dei gesti del direttore, sia le idee musicali proposte dai vari musicisti.  
Ogni Conduction viene numerata in modo da assumere autenticità a se stessa, ogni esecuzione dell’opera non coincide mai con una definizione ultima di essa.
Lo stesso Butch Morris, intervistato da Alessandro Cassin[5], spiega la diversità e l’unicità di ogni Conduction dovuta dalla diversità dei vari ensemble utilizzati, dalle diverse e varie personalità dei musicisti e soprattutto dalla capacità di improvvisare dello stesso Butch Morris: “It still feels very young to me and it still feels very fresh, Conduction #1 is completely different from Conduction #31. I think there’s a long way to go... I want to take it a lot further, a lot”[6].
Interessante può essere accostare queste definizioni di Eco che con efficacia esauriscono il carattere di unicità: “ogni esecuzione la spiega ma non la esaurisce, ogni esecuzione realizza l’opera ma sono tutte complementari tra loro, ogni esecuzione, infine, ci rende l’opera in modo completo e soddisfacente ma al tempo stesso ce la rende incompleta poiché non ci dà insieme tutti gli altri esiti in cui l’opera poteva identificarsi”[7].
Il direttore offre non solo al fruitore ma anche ai musicisti dell’ensemble un’opera da finire, motivo per cui dobbiamo intendere (ovviamente con un’altra cognizione di indeterminazione) un ibrido tra un’esecuzione indeterminata quanto a se stessa e indeterminata quanto all’esecuzione[8], perché in ogni Conduction non possiamo stabilire la durata ma conosciamo l’organico. 
Allo stesso modo riguardo la poetica dell’“opera aperta”ritengo rilevatrici le affermazioni di Pousseur: “L’opera tende a promuovere nell’interprete atti di libertà cosciente, a porlo come centro attivo di una rete di relazioni inesauribili, tra le quali egli prescrive i modi definitivi dell’organizzazione dell’opera fruita”[9].
Questa affermazione indica in maniera concreta la relazione che ha l’interprete (o meglio il musicista) all’interno dell’ensemble nei confronti delle “reti di relazioni inesauribili” ritrovate sia nel momento della propria improvvisazione sia nella interpretazione del gesto del direttore.
È doveroso aggiungere alla considerazione di Pousseur la figura del direttore; in quanto questa figura che promuove gli “atti di libertà cosciente” e soprattutto è esso stesso messo al centro di una “organizzazione” tra relazioni inesauribili ed indeterminate.
Un esempio che riguarda sempre la problematica identità della Conduction lo suggerisce Stefano Zenni[10]. Prendendo come risultato estremamente unico la Conduction #25 The Akbenk Conduction nel 1992, realizzata con il “Suleyman Erguar Ensemble” di Istambul, avvicina le sonorità etniche e “spinte improvvisative transculturali”[11] come un sublime legame tra jazz e Word music.
Sicuramente la performance che ci fa notare Zenni è di notevole suggestività e il legame con la Word music sembra più che travalicato. Forse date le capacità mutevoli della Conduction è possibile ritenere questo evento come un esempio delle diverse possibilità espressive, non come unica direzione in cui può sconfinare. Il risultato è stato estremamente segnato dagli improvvisatori che hanno preso parte alla performance che, essendo meno vincolati dal jazz, hanno apportato un bagaglio musicale estremamente diverso. Questa stessa diversità di risultato ovviamente è possibile ritrovarla facendo partecipare gruppi musicali lontani dal jazz, come per esempio la performance che ha visto come improvvisatori dell’ensemble l’Orchestra del Maggio Fiorentino o un variegato ensemble di attori.


[1] Stuart Hall, Notes on Deconstructing the popular, in Raphael Samuel (ed.) 1981 (People’s History and theory, Routlegde, London, p. 228.
[2] Middelton Richard, Studiare popular music, 1994, Feltrinelli, Milano,(ed. or. 1990), pp. 48.
[3] Ibid., pp. 24.
[4] Umberto Eco “L’opera in movimento e la coscienza dell’epoca” in “Incontri Musicali” 1959, n. 3.
[5] www.fucinemute.it
[6] Ibid.
[7] Umberto Eco, L’opera in Movimento e la coscienza dell’epoca, in «Incontri Musicali», n. 3, 1959, pp. 46.
[8] Vincenzo Caporaletti, I processi improvvisativi nella musica. Un approccio globale, 2005, LIM, Lucca, pp. 262.
[9] Henry Pousseur, La nuova sensibilità musicale, in «Incontri Musicali», n. 2, 1958, pp. 25.
[10] Stefano Zenni, I segreti del Jazz, 2007, Stampa Alternativa, Viterbo.
[11] Ibid. pp.67.

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